Ordine di batteri appartenenti alla classe degli "alfa-proteobatteri".
Tra i generi più rinomati vi sono: Bartonella, Brucella, Agrobacterium-Rhizobium.
Bartonella
Il genere Bartonella (Fig.1) comprende batteri dalle seguenti caratteristiche:
- Gram negativi;
- Patogeni intracellulari facoltativi che causano batteriemia intra-eritrocitica.
Possono essere agenti eziologici di svariate malattie come, ad esempio:
- B. henselae provoca la “malattia del graffio del gatto”;
- B. quintana la febbre quintana o “delle trincee”;
- B. bacilliformis causa la malattia di Carrion.
Alcune specie di Bartonella, inoltre, possono proliferare massivamente a livello endoteliale portando alla formazione di tumori vascolari (Fig.2).
Malattia del graffio del gatto
E' una malattia trasmessa grazie ad un vettore che è la pulce. Il batterio Bartonella si attacca alla superficie dei nostri vasi sanguigni, penetra dentro ai nostri eritrociti, e lì resta per un certo periodo di tempo (Fig.3).
Si stima che circa l’8% dei gatti domestici e il 13% dei gatti randagi siano infetti.
Solitamente, veniamo infettati tramite un graffio che permette al batterio di entrare nel nostro corpo.
Dopodiché, a livello cutaneo appaiono macchie, papule e pustole che scompaiono dopo massimo 3 settimane. Al termine di questo periodo, però, si possono osservare i linfonodi (soprattutto ascellari) gonfi e talvolta purulenti (Fig.4).
Brucella
Il genere "Brucella" comprende batteri dalle seguenti caratteristiche (Fig.5):
- Coccobacilli;
- Gram negativi;
- Immobili e asporigeni;
- Catalasi e ossidasi positivi;
- Aerobi stretti (alcuni crescono in CO2);
- Temperatura di crescita (20-40°C) e pH 6,6-7,4;
- Nutrizionalmente esigenti;
- Parassiti intracellulari facoltativi.
I batteri del genere Brucella possono essere agenti eziologici di alcune zoonosi che colpiscono gli allevamenti di bovini, ovini, caprini e talvolta gli umani. Alimenti come il latte crudo possono essere responsabili della diffusione della malattia. Tuttavia, la carne non rappresenta una via di trasmissione rilevante in quanto la carica batterica nei muscoli non è alta. In Italia è permessa la vendita di carcasse infette, purché al macello si richieda l’asportazione degli organi/viscere.
La trasmissione animale può essere verticale (tra madre e figlio), tramite rapporto sessuale od ingestione.
Le varie specie di Brucella prendono il nome dal serbatoio animale di provenienza:
- B. melitensis in capre e pecore;
- B. abortus nei bovini;
- B. suis nei suini;
- B. neotomae nei roditori etc.
Tutte le specie tranne, B. neotomae e B. ovis, sono in grado di infettare l’uomo, tuttavia, l’infezione interumana è assai rara.
Sicuramente la più pericolosa è l’abortus che, per l’appunto, può causare aborti nelle donne incinte, mentre la popolazione meridionale è la più colpita in generale (specialmente durante il periodo delle macellazioni degli agnelli e della produzione del formaggio ovino fresco.
L’uomo si può infettare in diversi modi (Fig.6):
- Per ingestione (latte crudo o derivati);
- Per via transcutanea (contatto con materiali infetti);
- Per via aerea o congiuntivale (inalazione o contatto con occhi).
Brucella penetra nel corpo tramite le mucose, viene catturata dai macrofagi e si replica al loro interno portando a:
- Brucellosi acuta (astenia, dolori muscolari, febbre);
- Brucellosi cronica (sintomi prolungati nel tempo);
- Brucellosi acuta maligna (febbre alta, cefalea, ipotensione e, se trascurata, alla morte)
Negli animali si localizza nei linfonodi sopra-mammari, nella mammella, nelle vescichette seminali, nei testicoli e nell’utero dove provoca aborti ripetuti.
Agrobacterium
Nel genere Agrobacterium sono compresi batteri dalle seguenti caratteristiche (Fig.7):
- Gram negativi;
- Aerobi e mobili;
- Possono portare alla formazione di tumori vegetali noti come "tumori della galla del colletto".
Tra gli esponenti più noti del genere vi è A. tumefaciens, un fitopatogeno che induce trasformazione cellulare nelle cellule vegetali, per questo considerato il primo vero “ingegnere genetico” della storia.
Questo perché al suo interno presenta un plasmide Ti (Tumor Inducing; Fig.8) con alcune regioni di particolare rilevanza.
Per esempio: al suo interno è presente un (1) T-DNA che contiene geni per la sintesi dell’auxina (ormone vegetale che induce allungamento), delle citochinine (altri ormoni vegetali) e dell’opina (metabolita che può essere usato come fonde di carbonio dal batterio). Tutti questi geni del T-DNA possono essere esclusivamente trascritti e tradotti dalle cellule vegetali.
(2) Geni di virulenza, in una regione da 35 kb, sono indispensabili per trasferire ed integrare la regione del T-DNA nel genoma vegetale.
(3) uno o più geni per il catabolismo dell’opina che funge da nutriente esclusivamente per il batterio.
(4) l’origine della replicazione del DNA (ori).
ATTENZIONE: solo la regione del T-DNA batterico sarà trasferita al genoma vegetale!
Le opine (Fig.9), chimicamente parlando, sono prodotti della condensazione tra un amminoacido e un chetoacido, oppure tra un amminoacido e uno zucchero.
Es. l’octopina (arginina e acido piruvico), nopalina (arginina e l’aldeide dell’alfa-chetoglutarato), agropina è uno zucchero biciclico derivato dall’acido glutammico.
Vengono sintetizzate all’interno del tumore del colletto e possono essere sfruttate come fonti di carbonio da Agrobacterium tumefaciens che possiede nel plasmide i geni per il loro catabolismo.
Gli altri microrganismi del suolo, generalmente, non sono in grado di utilizzare l’opina come fonte “alimentare”. Solo Agrobacterium riesce a manipolare geneticamente le cellule vegetali obbligandole a fabbricare un composto che solo lui è in grado di usare.
Il processo di infezione della pianta avviene per tappe (Fig.10a):
- Ferita e rilascio di acetosiringone: una pianta ferita rilascia composti fenolici che richiamano il batterio e attivano i fattori di virulenza (geni vir).
Il batterio, attirato dal pH acido e dalla presenza di zuccheri (sinonimi di infezione) si avvicina alle cellule vegetali per poi ancorarsi alla parete tramite la sintesi di un beta-1,4-glucano. - Trasferimento T-DNA: tramite un processo simile alla coniugazione batterica, il T-DNA viene trasferito al genoma vegetale che si presenta sottoforma di una molecola lineare di DNA a singola elica (T-strand).
- Inizio produzione metaboliti batterici: dopo che il DNA batterico è stato inserito in quello vegetale, quest’ultimo procede con la produzione di auxine e citochinine (oltre alle opine) che regolano la normale crescita vegetale. Tuttavia, ove presenti in eccesso inducono l’insorgenza di tumori noti come “galle del colletto”.
- Il trasferimento del DNA batterico (T-DNA) alla cellula vegetale avviene tramite un processo simile alla coniugazione e sottoforma di molecola lineare (T-strand). Dopodiché si integra con il cromosoma vegetale.
Il plasmide Ti, per le sue caratteristiche, viene spesso utilizzato in ingegneria genetica per costruire mutanti con geni di interesse (Fig.10b).
Un esempio è rappresentato dal Mais BT che risulta immune alla piralide, un verme che si nutre delle sue cariossidi (Fig.11).
“BT” è infatti un acronimo che sta per “Bacillus thuringiensis”, un batterio che produce un cristallo parasporale che, se ingerito dagli insetti, ne determina la morte.
In ingegneria genetica, quindi, si prende il gene del bacillo che codifica per il cristallo e lo si inserisce nel plasmide Ti (al posto dei geni per auxine e citochinine) che sarà poi re-integrato in Agrobacterium.
Quest’ultimo, lasciato in condizioni di infettare la pianta, attaccherà il mais trasferendogli le informazioni utili per la produzione del cristallo.
Per queste ragioni, il mais BT può essere considerato un organismo OGM perché geneticamente modificato.
Rhizobium
All'interno di questo genere sono presenti batteri dalle seguenti caratteristiche:
- Batteri Gram negativi;
- Prevalentemente aerobi;
- Bastoncellari (lunghezza 1-3 um, larghezza 0,5-0,9 um);
- Mobili con flagelli polari, subpolari e peritrichi;
- Simbionti facoltativi (con vita libera nei suoli indisturbati);
- Assieme a Bradyrhizobium ed a Sinorhizobium, sono considerati batteri azotofissatori in simbiosi con le leguminose (Fig.12).
L’azoto è un elemento essenziale per tutte le forme viventi, in quanto elemento chiave per la produzione di metaboliti secondari, acidi nucleici, clorofilla e proteine.
Tuttavia, pur essendo molto disponibile in atmosfera (80% della composizione), la sua forma molecolare N2 (con triplo legame) è poco bio-disponibile e deve essere necessariamente fissata/combinata con altri elementi per entrare nei cicli biologici.
Per queste ragioni, l’azoto-fissazione operata da questi batteri è di estrema importanza.
Gli azotofissatori possono essere:
- A vita libera: liberi nel suolo, nell’acqua, o in associazione non-simbiotica con le piante.
- In simbiosi: in associazione profonda con alcune piante superiori che presentano addirittura strutture apposite per quest’attività (noduli o tubercoli radicali).
All’interno dei noduli (Fig.13) i batteri riducono l’azoto molecolare in ammoniaca (NH3) che può essere utilizzata dalla pianta. Quindi, in un mutuo scambio (simbiosi mutualistica), la pianta mobilita verso i noduli i suoi fotosintetati come fonte di carbonio, mentre i batteri rendono disponibile l’ammoniaca da cui la pianta potrà ricavare l’azoto.
I rizobi, quindi, si avvicinano alla pianta grazie ad un dialogo molecolare con essa. Quest’ultima, infatti, rilascia molecole di tipo fenolico (flavonoidi e isoflavonoidi) che esercitano un’azione chemiotattica verso gli stessi.
Queste molecole vengono riconosciute dalla proteina batterica NoD che regola i fattori di trascrizione legati al processo di nodulazione.
La proteina Nod viene ad essere prodotta a partire dal gene nodD costitutivo e localizzato a livello plasmidico come i nif e i fix che permettono la fissazione dell’azoto.
Quando i geni nod in presenza di molecole fenoliche si attivano, parte la produzione di una serie di molecole note come “lipochitooligosaccaridi” (o fattori nod) che hanno la funzione di segnalare alla pianta che si trova in presenza di batteri (Fig.14).
Quest’ultima metterà in campo una serie di risposte morfogenetiche con conseguente attivazione dei geni coinvolti nel processo di formazione del nodulo.
1. Il primo passaggio prevede il contatto radicale dei rizobi con inizio concentro dell’associazione simbiotica che si fonderà sull’adesione tra lectine vegetali e i polisaccaridi di superficie dei batteri.
L’area specifica di adesione corrisponde con la zona in cui i peli radicali sono in attiva crescita.
2. Il secondo passaggio prevede l’incurvamento del pelo radicale con degradazione localizzata della parete delle cellule vegetali. Dopodiché la membrana plasmatica si invaginerà portando alla formazione di un tunnel noto come filo di infezione (Fig.15), ossia un canale attraverso cui i batteri possono penetrare nei tessuti vegetali verso le cellule corticali.
3. L’allungamento del canale di infezione è dato dalla fusione di più vescicole del Golgi ricche di materiale di parete cellulare (Fig.16).
4. Solo i batteri posti all’apice del canale si replicano attivamente, mentre quelli più in basso vengono progressivamente circondati da una matrice glicoproteica che si indurisce. Quindi, la forza motrice di discesa dei batteri verso la zona corticale è costituita dalla divisione di quelli che si trovano ancora in superficie.
5. Mentre il filo di infezione si allunga, le cellule corticali sottostanti si riattivano mitoticamente portando alla formazione di un primordio nodulare. I fili di infezione si ramificano all’interno del primordio rilasciando i batteri allo stato di batteroidi (batteri circondati da uno strato di membrana derivante dalle ex-cellule vegetali che costituisce una barriera tramite cui avverranno gli scambi tra i due simbionti; Fig.17).
Il batteroide, la sua membrana plasmatica parzialmente frammentata, e la membrana peri-batterica di origine vegetale, formano il simbiosoma nonché l’unita azotofissatrice del nodulo radicale.
All’interno del simbiosoma i batteroidi proliferano e si moltiplicano finché la cellula vegetale infetta viene completamente occupata dai simbiosomi.
All’interno del nodulo non esiste un’unica forma batterica ma tante che svolgono funzioni diverse (Fig.18):
- Parte apicale del nodulo, tessuto meristematico con assenza di batteri;
- Zona di infezione, a seconda della vicinanza all’apice radicale si osservano batteroidi di tipo1 o 2 (più prossimali) con ampio spazio periplasmatico e arresto della divisione cellulare e replicazione del DNA.
- Interzona 2-3, ci sono 3-4 strati di cellule posizionate nella parte più matura del nodulo, sono batteroidi di 3 che hanno concluso l’allungamento e sono circa 7 volte più lunghi dei batteri a vita libera. Hanno attiva la trascrizione e i geni della fissazione.
- Zona 3, nella parte distale vi sono 8-12 strati di batteroidi di tipo 4, completamente differenziati e capaci di fissare l’azoto, mentre nella parte prossimale vi sono batteroidi di tipo 5 che non fissano più l’azoto.
- La zona 4 è quella di senescenza, in prossimità del punto di attacco con la radice; il numero dei batteri diminuisce.
Le simbiosi tra leguminose e rizobi sono altamente specifiche, ovvero, solo certi ceppi batterici sono compatibili con una data pianta per formare noduli funzionanti (Fig.19).
La nitrogenasi, enzima deputato all’azoto fissazione, è un macchinario abbastanza complesso e composto da due subunità proteiche (Fig.20):
- Componente 1: Fe-Mo (ferro-molibdeno) proteina di 220-240 kDa, è la nitrogenasi vera e propria, ed è a sua volta composta da due subunità α e due subunità β che si occupano della riduzione dell’azoto.
- Componente 2: Fe-proteina di 60-70 kDA detta nitrogenasi reduttasi, composta da due subunità identiche che passano elettroni alla componente 1.
I due enzimi funzionano in maniera combinata per permettere l'azoto fissazione secondo i seguenti passaggi (Fig.21):
- La nitrogenasi reduttasi accetta elettroni da un donatore a basso potenziale, come la ferridossina, e lega 2 molecole di ATP.
- La nitrogenasi reduttasi trasferisce gli elettroni alla nitrogenasi formando un complesso, durante questa fase viene idrolizzato l’ATP ad ADP e Pi.
- Le due subunità si dissociano e il processo si ripete.
- Quando la nitrogenasi ha ricevuto abbastanza elettroni, cioè dopo 8 cicli e 16 elettroni legati, può legare una molecola di N2 che viene così ridotta con rilascio di NH3.
- La nitrogenasi accetta altri elettroni e il ciclo si ripete.
La sintesi e il funzionamento della nitrogenasi richiedono energia: servono 16 molecole di ATP e 8 elettroni per ogni molecola di N2 ridotto.
N2 + 8H+ + 8e- + 16 ATP à 2NH3 + 16ADP + 16Pi + H2
Nella sintesi e nel funzionamento della nitrogenasi sono coinvolti i geni nif (Fig.22).
- nifA: a basse concentrazioni di ossigeno viene prodotta una proteina regolatrice che influenza la sintesi della nitrogenasi.
- nifHDK: codificano per proteine strutturali.
nifH à codifica per 2 subunità della Fe-proteina
nifD e nif K à codificano per le subunità alfa e beta della Fe-Mo proteina. - nifENB à coinvolti nella sintesi del cofattore Fe-Mo.
Le attività del nodulo e della nitrogenasi sono collegate ad una scarsa concentrazione di ossigeno e ad un'elevata disponibilità di ATP.
Queste esigenze apparentemente contrastanti vengono soddisfatte dalla presenza di una barriera alla diffusione dei gas e da un trasporto particolare dell'ossigeno.
Quest'ultimo viene garantito dalla presenza di leg-emoglobina (Fig.23), proteina analoga all'emoglobina animale ma con gruppo eme codificato dal batterio e con la restante parte codificata dal genoma vegetale.
In questo modo, i rizobi possono respirare aerobicamente pur operando una riduzione dell'azoto ad alta efficacia.
Fonti
Testo
- Appunti personali corso "Microbiologia Generale", UniUPO DISIT;
- Patriarca et al., 2002;
- Laranjo et al., 2013;
- San Wong et al. 2015;
Immagini
- Figura 1: Veterinary Medicine News;
- Figura 2: ScienceDirect;
- Figura 3: Lecturio;
- Figura 4: Wikipedia;
- Figura 5: Freepik;
- Figura 6: Gastroepato;
- Figura 7: Wikispecies;
- Figura 8: Bonfriscotesina;
- Figura 9: unisi;
- Figura 10 a-b: ResearchGate;
- Figura 11: soloecologia;
- Figura 12: continentalsemences;
- Figura 13: Domenico Prisa;
- Figura 14: ResearchGate;
- Figura 15: ResearchGate;
- Figura 16: ResearchGate;
- Figura 17: BiosLogos;
- Figura 18: Patriarca et al., 2002;
- Figura 19: UniRC;
- Figura 20: Giuseppe Donatellis;
- Figura 21: BiosLogos;
- Figura 22: UniFe;
- Figura 23: aakash